Riccardo Riccardi dell’azienda Brandolini Pietro presentandoci il bonarda 30 Denari nella metafora di #vinoumano (“un giovanotto che ha voglia di cambiare le regole”) ci parla di un cambiamento di ottica in corso, del progetto aziendale di trasformare i vini dell’Oltrepò Pavese da vini frizzanti di pronta beva a vini più impegnativi, da invecchiamento.
30 Denari infatti è un Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC fermo corposo e strutturato e viene prodotto con uve 100% croatina che danno una piccola produzione di grande qualità perchè provenienti da ceppi di oltre 80 anni appartenenti al più antico cru dell’azienda, il vigneto Sabassone. Viene fermentato con lieviti selvaggi ed affronta una macerazione sulle bucce di almeno 8 giorni ed in seguito viene affinato per 12 mesi in una botte del 1931 di legni di mandorlo e pesco e in barriques di rovere francese.
Alla vista si presenta rosso granato scuro, al naso è deciso con note di bacche selvatiche e tostate, in bocca è pieno, sapido ed elegante.
In tavola è un eccellente compagno di piatti classici dell’Oltrepò come salumi, risotti e selvaggina. Ma vediamo ora come lo descrive Riccardo…
La storia dell’azienda agricola Brandolini Pietro inizia a San Damiano al Colle (Pavia) nel 1923 quando un giovanissimo Pietro comincia ad avvicinarsi alle viti e al vino – prodotto per generazioni dalla sua famiglia – e decide di dedicarsi alla cura di quelle viti che lo avrebbero accompagnato ed impegnato per tutta la sua vita.
Nel ‘28 fonda l’azienda, fa costruire una cantina con una capacità di circa 200˙000 litri, acquista le migliori macchine dell’epoca per la trasformazione delle uve in mosto (come il torchio idraulico ancora presente e utile in azienda) e decide di produrre usando solo le uve provenienti dai suoi vigneti, di trasformarle con metodi tradizionali e di invecchiare solo le annate migliori in piccole botti.
Nel 2010 l’azienda passa sotto la direzione di Vittorina e Riccardo che se da un lato conservano con il nome tutta la tradizione e la filosofia tracciati da Pietro, dall’altro rinnovano, acquistando macchine moderne e includendo nuove persone ed idee che migliorano la cantina e il lavoro in campagna.
In campo decidono di limitare al massimo concimi e trattamenti e di preservare le viti vecchie che producono meno ma che danno migliore qualità; in cantina non viene utilizzata l’autoclave né la filtratura, ma si eseguono tanti travasi e si usano vecchie botti per l’affinamento mentre l’invecchiamento avviene in bottiglia, al buio.